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Se il tablet è neocolonialista
Due cose che ho visto online nell'ultimo mese mi hanno fatto riflettere sul neocolonialismo che a volte si nasconde sotto l'impulso, meritevole, di aiutare le persone meno fortunate di noi che abitano in paesi lontani.
Non è un tema nuovo, lo so, ma ha preso una piega tecnologica insolita (almeno per me) con questa notizia uscita sulla Technology Review, la rivista online del Massachusetts institute of technology (Mit). In Italia la notizia è stata riportata soprattutto dai blogger e in un articolo uscito tempo dopo su Repubblica.
Tre donne forti
Norah, avvocato trentottenne, torna in Senegal per aiutare il padre malgrado tutto quello che ha subìto a casa sua quando era una ragazza.
Quando lo incontra, sulla soglia della grande casa di cemento, è il crepuscolo e quasi non lo riconosce perché non ha più nulla della sua fierezza, della sua statura e della giovinezza di un tempo. La guarda un po' perso e sembra quasi che non la aspetti. Porta un vestito verde tiglio, senza maniche, punteggiato di fiorellini gialli e calza degli infradito di plastica. Che cosa strana, pensa Norah, proprio lui così orgoglioso del suo aspetto esteriore appare tanto trasandato. Lui che ci ha sempre tenuto all'apparenza, soprattutto a farsi vedere solo con delle impeccabili scarpe chiuse.